Le danze Cham sono parte integrante della cultura tantrica tibetana: attraverso una elaborata serie di movenze simboliche, i monaci danzatori si identificano con le varie divinità evocate dalla danza così da generare in se stessi le qualità psichiche e le caratteristiche positive di cui la divinità è portatrice.
La prima esecuzione delle danze Cham in Tibet si fa risalire a Padmasambhava (VIII sec. d.C) in occasione della costruzione del monastero di Samye, al fine di consacrare lo spazio del monastero, benedire le prime ordinazioni monastiche e sottomettere gli spiriti del luogo.
I Cham sono eseguiti di solito nei cortili dei monasteri e sono preceduti da cerimonie per purificare e consacrare il terreno. In passato la popolazione tibetana, assistendo alla danza, poteva entrare in contatto con la dimensione spirituale e imparare a conoscere i miti e i riti della propria cultura; questi eventi rappresentavano inoltre dei fondamentali momenti di socialità per chi viveva in piccoli villaggi o in luoghi isolati.
Questo tipo di danza, che richiede grande abilità e fa parte integrante del percorso di addestramento monastico, può essere visto come una sorta di “meditazione in movimento” in cui si esercita un perfetto controllo su corpo, parola e mente.
Per tradizione una danza Cham ha tre fasi principali: una di preparazione, una di generazione e completamento, e una conclusiva: questi stadi rispecchiano chiaramente quelli delle tecniche tantriche del Buddhismo tibetano. “La musica, il canto dei mantra e della sadhana, la danza in costume, gli oggetti rituali e i gesti (mudra) si combinano per formare una complessa performance di divinità che danzano sulla Terra” (M. Schrempf).
Notevole parte del fascino dei Cham, anche per gli spettatori occidentali, risiede nell’elaborato apparato coreografico costituito dai caratteristici costumi sgargianti dalle ampie maniche, da oggetti rituali come lo specchio (che simboleggia la mente) e il pugnale phurba (capace di sconfiggere anche i demoni più temibili), e ovviamente dalle grandi maschere di legno e cartapesta che raffigurano le varie divinità pacifiche e irate dell’iconografia tantrica.
Tra le più celebri danze Cham si ricordano la storia del “cappello nero”, che narra dell’uccisione di un re malvagio da parte di un monaco, la danza di Yamantaka (una divinità irata) e la danza del cervo, che risale al periodo precedente all’arrivo del Buddhismo in Tibet.
Le maschere più antiche sono considerate molto potenti e diventano oggetto di venerazione e di pellegrinaggio, particolarmente durante i festival religiosi o in ricorrenze speciali; i costumi d’epoca, invece, sono stati in gran parte confiscati e distrutti durante la Rivoluzione Culturale e la danza Cham stessa è stata proibita fino all’inizio degli anni ’80.
Degna di nota è anche la musica che accompagna le danze, suonata con strumenti tipici come il dung-chen, una lunga tromba in ottone o argento dal suono inconfondibile, paragonato spesso al barrito di un elefante. Altri strumenti particolari sono la conchiglia dung-kar, giunta in Tibet dall’India, suonata come uno strumento a fiato, e la tromba corta kang-ling, originariamente ricavata da un osso di tibia o di femore umano.
(Fonte: Tibet: La terra del cielo. Testimonianze per salvare un antico patrimonio culturale, a cura del FPMT Centro Cenresig, Bologna 1994)
Per approfondimenti: P. Verni – V. Severgnini, Tibet. Le danze rituali dei lama, Nardini Press 1990