Mentre la parola “mudra” è ancora poco conosciuta, il termine “mantra” è ormai entrato nell’uso corrente come sinonimo di una frase o di uno slogan ripetuti incessantemente. Ma i termini mudra e mantra hanno origini antichissime e sono entrambi parte integrante della pratica spirituale in quanto veicolano il sacro e lo esprimono attraverso i mezzi ritualizzati del suono (i mantra) e dei gesti (i mudra).
In Oriente costituiscono tuttora un elemento centrale durante le cerimonie, le danze e le rappresentazioni teatrali sacre e profane, sia induiste che buddhiste.
Mudra significa “sigillo”, “simbolo” e quindi “gesto simbolico” di una o di entrambe le mani; vi sarà forse capitato di notare che nei dipinti e nelle sculture tradizionali i Buddha, i Bodhisattva, i maestri e gli altri personaggi dell’iconografia buddhista tengono le mani in posizioni particolari, ad esempio nel classico mudra della meditazione (con le mani sovrapposte e le punte dei pollici che si toccano) o nel cosiddetto “mudra del toccare la Terra”, che ricorda l’episodio della vita del Buddha in cui – durante la lotta con Mara, personificazione del Male – Shakyamuni chiamò la Terra a testimone dell’autenticità della sua illuminazione, toccandola con la punta delle dita della mano destra… e la Terra, in risposta, tremò!
Vi sono differenti livelli simbolici di interpretazione dei mudra: le cinque dita delle mani possono riferirsi ai Cinque Buddha (mano destra) e alle loro consorti (mano sinistra), con i colori, le sillabe sacre e gli attributi ad essi associati; in generale la mano destra è collegata all’aspetto maschile attivo della compassione, mentre la mano sinistra rappresenta l’aspetto femminile della saggezza e della vacuità.
I mudra si usano anche in forma dinamica nella pratica yogica e tantrica, ad esempio per simboleggiare l’offerta del mandala e di altre offerte (acqua, fiori, profumi…), oppure per invocare specifiche deità.
I mantra, invece, sono formule sacre utilizzate soprattutto nelle tradizioni esoteriche dell’Induismo e del Buddhismo tantrico; l’origine dei mantra risalirebbe al “suono primordiale” della realtà assoluta, ossia la vibrazione creatrice che genera la luce e, a seguire, tutti i fenomeni della realtà condizionata.
La pratica dei mantra è associata al sambhogakaya, uno dei tre “corpi” di Buddha; non a caso il sambhogakaya è collegato al quinto chakra (la voce, l’espressione, il suono, il linguaggio) e si colloca in una dimensione intermedia tra il dharmakaya (la mente di Buddha) e il nirmanakaya (il corpo fisico di Buddha).
Un mantra, dunque, è al tempo stesso suono e parola, ma anche li trascende; alla sua radice si trovano le sillabe-seme (bija-mantra, in sanscrito), che ne costituiscono il nucleo e possono riferirsi agli elementi del cosmo – LAM per la terra, VAM per l’acqua… – come pure a specifiche deità, di cui viene evocata l’energia.
I mantra sono potenti strumenti per trasformare la mente e dovrebbero essere utilizzati sotto la guida di un maestro qualificato.
Una delle formule mantriche più famose è OM AH HUM, che riflette l’essenza del corpo, della parola e della mente di tutti i Buddha.
Altrettanto noti, e molto cari ai tibetani, sono i mantra di Cenresig, il Buddha della compassione protettore del Tibet OM MANI PADME HUM, e il mantra di Tara, detta “la Liberatrice”, la principale deità femminile della compassione OM TARE TUTTARE TURE SOHA. Questi mantra possono essere cantati da tutti, per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, anche senza aver ricevuto preliminarmente iniziazioni e istruzioni dai maestri.
Qui potete ascoltare i mantra di Cenresig e di Tara cantati dalla suggestiva voce di Giulia, collaboratrice dell’Istituto Lama Tzong Khapa: Buddhist Mantras
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